Era dai tempi del liceo, trentatré anni or sono che non rileggevo Migjeni in modo approfondito. Rileggere di nuovo le sue prose poetiche, mi ha travolto nuovamente. Specialmente ora, con la rischiosa situazione economica in cui scenari di miseria potrebbero scuotere la società nuovamente, ho trovato il libro più attuale che mai. A libro chiuso ho riflettuto, ho meditato su tutti quei dettagli di vita quotidiana che il poeta ha messo in evidenza, ha messo a fuoco con la sua camera artistica. Migjeni è sempre attuale anche se è passato quasi un secolo. La sua verità è tragica. E’ la terribile verità dei diseredati, degli affamati, dei disoccupati, degli indulgenti borderline; personaggi dello strato più sofferente della società con la dignità compromessa. Il disoccupato che vedendo la pubblicità, vuole dare un pugno alla montagna silenziosa, Luli, il brufoloso fanciullo con le scarpe rotte, la donna che si prostituisce per comprare le medicine per il figlio malato, il crudele benefattore che dà l’elemosina, ma pretende di colpire in testa con i spiccioli l’accattone; il bimbo morto di freddo che contrasta con la neve. Tutto è stato detto, osservato con la sincerità che solo l’anima pura di un artista sa raccontare. Migjeni è fatto di forti immagini, di brani, di strappi, di scatti fotografici che non si sradicheranno mai più dalla nostra memoria. L’indomabile montanaro che diventa servile di fronte ad un pugno di mais è indelebile: “il suo petto è un pezzo di granite che si è staccato dalla montagna e sta su due piedi forti e dritti…. si muove il pezzo di montagna senza fiatare. E davanti al magazzino di mais perde la sua costituzione e diventa servile…perché? ..così vuole la legge, il funzionario, altrimenti: niente mais!!…..” Migjeni non muore mai. “Questo uragano fermato” come scrive Ismail Kadarè in un suo saggio su Migjeni. Lui è come la verità, la quale rovistata a lungo, comincia a puzzare, a sconvolgere, a farci ribellare. Anzi, vedo in Migjeni, gli occhi misericordiosi dell’angelo che c’è dentro di noi. Quella parte sensibile, emotiva. La parte più profonda e migliore con il quali osserviamo l’accattone, la miseria degli disereditati nelle file della Caritas e nei centri sociali. Una tale poesia non muore mai. Quindi il candore della neve che contrasta con il corpo congelato dal freddo del bimbo nella ghiaccia abitazione diventa seriamente e drammaticamente una bellezza che uccide. Per la forza con cui Migjeni, ci dipinge la vita, ci offre brani sconvolgenti di realtà cruda, da quello che ho letto, posso paragonarlo solo con il ribelle e sovrano poeta francese Rimbaud. Ma vedo in lui anche il sentimento cristiano, umano, espresso da Andersen con la famosa storia del “La piccola fiammiferaia”. Vedo negli occhi di Migjeni, gli occhi di un Cristo molto addolorato. Gli occhi di un Dio che ha a cuore la dignità degli indulgenti, degli ultimi. Un Dio che ci ha bendati, in un mondo a volte crudele, tristemente drammatico, un Dio che ha fiducia nell’indulgenza umana verso gli ultimi. Una misericordia rabbiosamente umana, che Migjeni con i suoi brani corti rappresentando strappi di vita quotidiana, ci dipinge una società albanese tragica e solenne. La sua è una città dilaniata dalla crisi, terrorizzata dai fantasmi della povertà sempre presente nella quotidianità. Ma Migjeni non è solamente un denunciatore ribelle di un mondo a cui lui non ci sta! E’ altrettanto un osservatore acuto dei suoi drammi, delle sue debolezze e delle sue contradizioni interne. Nei brani poetici “Lo studente in casa”, oppure “Dacci oggi il nostro pane quotidiano!” emerge anche la sua filosofa pragmatica quando analizza la sua città che ama e detesta allo stesso tempo. Sincero, scarno, coerente, diretto, Migjeni, ha saputo dipingere, regalarci strappi strazianti della società e le sue invisibili ferite. Lui radicato profondamente nel suo sentimento di pietas, anche se non si dichiara un credente, ci parla di una clemenza umana, laica. Rivela, squarcia, denuncia, ci offre spaccati di una delizia angosciosa. Gli occhi di Cristo sulla terra? No. E’ la misericordia delle grandi anime, il quale come un cristo in croce è condannato a rivelare, fotografare, documentare, farci abbassare la testa, e riflettere in silenzio. “Non pregare per me. L’intero l’inferno, a piedi voglio percorre!” dichiara il poeta ad un certo punto. Il dramma intimo de “La bellezza che uccide”, la rara tenerezza del “Il piccolo Luli”, il dolore intrinseco del “Che Dio ti dia!”, la verità sublime di “La mela proibita!” la filosofia profonda di “La canzone del passerotto!” sono elementi chiari che rendono il poeta magnifico e profondo. Uno di quei poeti che come se fosse un pugno in faccia, non solo è in grado di svegliarci, raccontandoci la cruda realtà, ma ci fa anche andare oltre. Ci rende partecipi del sentimento più profondo umano. Lui sa parlare solamente il linguaggio intimo suo, lì dove fa più male. Con parole brusche e dirette, senza la patina pubblicitaria, senza la poesia di una esistenza egoistica e non teme di dire la verità. La sua capacità evocativa, la lente d’ingrandimento, il suo raggio d’azione, sono potenti ed invidiabili e ci invitano a fare un viaggio nel libro pubblicato da Besa editrice: “La bellezza che uccide!”, nella traduzione di Ada Prizreni. Ci rende partecipi degli intimi brani scritti da questo intramontabile poeta sensibile albanese, capace di vedere fino all’invisibile. Ci farà turbare l’anima, riflettere, ma anche destare il senso l’umanità. Un’umanità laica ma che aiuta alla solidarietà e al pathos. Artur Spanjolli Besa editrice. “La bellezza che uccide!” Migjeni.